Sito nato il 16 marzo 2006 |
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Buon compleanno Radio Parma (richiamatela Radio Parma) (tempo di lettura 13 min) di Gabriele Majo |
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Anche Mauro Coruzzi (Platinette) boccia l’acronimo “RPR” coniato qualche anno fa per la prima emittente libera italiana che il 1° gennaio 2010 compirà 35anni Per una volta vorrei cominciare dalla fine, cioè dall’ultima domanda che ho posto a Mauro Coruzzi “Platinette” durante l’intervista esclusiva che mi ha concesso per Broadcastitalia.it, dopo aver appreso la sua volontà di “lasciare tracce laddove ho cominciato”, pubblicamente espressa durante il pomeriggio a lui dedicato il 15 dicembre scorso dal Comitato di Parma della Società Dante Alighieri: “Dove vorresti concludere la tua carriera a Radio Parma o a RPR?” Ed ecco la sua risposta, come direbbe Paperon De Paperoni, musica per le mie orecchie: “Quella formula è orrenda… RPR… Sembra una scoreggia… Ma che è… Capisco che sia più dinamica, ma è veramente brutta: meglio tornare all’originale. Perché rinunciare ad un bel nome? A favore di che?” Un parere autorevole che ci conforta, essendo stati proprio noi i primi, in tempi non sospetti, a bocciare la scelta dell’attuale management della storica emittente, di sintetizzare in un acronimo la testata “Radio Parma”, identificativa della prima stazione libera italiana, che il 1° gennaio 2010festeggerà il 50° compleanno. Grazie Mauro, anche per questo, oltre che del pomeriggio di nostalgia (anche se per te è canaglia…) che ci hai regalato, raccontandoci le tue origini, che noi abbiamo sintetizzato in dieci minuti di registrazione, disponibili sul nostro sito web, assieme all’intervista integrale di cui sopra. Le origini – “Appresi della nascita di Radio Parma da chiacchiere di amici: andai subito a fare un provino, o meglio, a presentare le mie canzoni. Il Dj famoso dell’epoca, Roby Bonardi (ma quanti anni ha adesso, 800 ?) mi convinse a cimentarmi in questa nuova esperienza, a mettermi dinanzi ad un microfono. E così abbandonai gli studi…” Per cimentarsi in un nuovo mestiere. Dio, chiamarlo mestiere… “Non venivamo pagati. Menozzi (Virginio, nda), il nostro editore, che vendeva letti d’ospedale, preferiva reinvestire le risorse nella radio, anzi in macchine, visto che era sempre al volante di belle auto… In compenso, però, a pranzo e a cena andavamo al ristorante Da Marino, in via Affò. Una chiccheria, anche se due soldini, ogni tanto avrebbero fatto comodo.” Poi i soldini arrivarono (anche se non per tutti…) “Si iniziarono a firmare i primi contratti, questa professione divenne assistita sindacalmente: oggi sono migliaia a trasmettere in regola. Paradossalmente questo lavoro che sembrava non garantire a successivi di poterlo fare, è invece diventata una vera attività. Questo forse è più vero per le locali, che non per le grosse, dove i vecchi abbondano, me compreso…” Lo Zoo di Via Cavallotti – “Trasmettevamo da un garage in Via Cavallotti: dentro quella stanza c’era sia il trasmettitore che il microfono. In tanti venivano a vederci, un po’ come si fa con i bambini che si portano a vedere le scimmie allo zoo: arrivarono anche da Radio Milano International, per vedere come lavoravamo. Nessuno riusciva a capire come riuscissimo ad ottenere questi risultati con così poco denaro… Era un mondo strano, tutto da scoprire, sembrava di essere su una caravella, noi eravamo come Cristoforo Colombo e la Radio la nostra America…” I provini per la Tv via cavo – “L’idea iniziale era la Tv via cavo, ma Menozzi capì che rompere i marciapiedi per farci scorrere dentro i cavi e poi ricostruirli sarebbe costato una fortuna e quindi dirottò sulla radio. Le annunciatrici che avevano superato i provini per la tv divennero speaker della radio. Mi piace ricordare l’Albero di Natale, Anna Maria Bianchi, che aveva delle palle come quelle natalizie al posto degli orecchini. Era molto bella e simpatica: lei fu la prima, ma settimana dopo settimana, mese dopo mese arrivarono altri: anche quel signore seduto lì, Gabriele Majo (grazie per la citazione e per la signorilità, nda) che si occupa tuttora di radio, che lo avevo visto inseguire la Franzoni in un filmato. Hai scoperto qualcosa in più? (Avrei una mia tesi, piuttosto alternativa, ma è meglio non divulgarla in questa sede…, nda) Drapkind, il maestro – “E’ stata l’inizio di un’epoca, una fantastica opportunità. Era un lavoro nuovo, non avevamo modelli, se non ascoltare i professionisti della radio nazionali o straniere, come Montecarlo e Capodistria. L’esperienza ce la siamo fatta sul campo. Noi facevamo una comunicazione un po’ meno ingessata di quella rappresentata dalla carta stampata prima. L’informazione era la parte che mi interessava di più, e qui tiro in ballo Drapkind (Carlo Drapkind, il direttore responsabile, nda) mio punto di riferimento, mio vero padre sul lavoro. Con l’abitudine mi ha insegnato delle regole, come svegliarsi all’alba, essere puntuali, andare a prendere la mazzetta dei giornali in edicola, chiamare l’ospedale per sentire se era morto qualcuno, del resto non c’erano agenzie ed internet, ma solo un orrendo telefono verde come quello dell’Ispettore Derrick. Mi ha insegnato delle regole: in questo mestiere bisogna sacrificarsi molto, anche se non lavoravamo in fonderia alla Bormioli, ed io sono stati assai ripagato. Il giornalista deve essere pratico, saper capire, essere intelligente, avere curiosità: Drapkind voleva scoprire anche i lati un po’ meno chiari di questa città. Ad esempio, io un bel giorno feci una pazzia ed aprii il Bar Picasso: lui era incuriosito, voleva capire, ma io non potevo dargli particolari da censura… Insomma come piace a me sapeva unire il cotto ed il crudo. Mi uniscono a lui ricordi di natura alimentare: come me era uno che magnava qualsiasi cosa, ma era bello avere un complice che mentre magnava lavorava e come lavorava Carlo non lavorava nessuno. Aveva un archivio di ritagli di giornali e foto infinito: spero che sua moglie lo abbia tenuto. Era dentro la politica fino al collo: sapeva vita morte e miracoli di chiunque, ed era un grande affabulatore, capace di rendere gradevole quello che altri raccontavano in maniera noiosa. E poi il suo incedere, la sua stazza, questa specie di ippopotamo come lo sarei diventato io: non vorrei fosse un segno del destino, ma mi fa piacere questa tipologia di persona che mette entusiasmo un quello che fa.” Radio, la definizione – “La Radio per me non è solo amore, è l’idea della casa… Ho sempre pensato – e l’ho sempre detto ai miei collaboratori e ad Elisabetta Zanlari che è la mia spia al’interno di Radio Parma, alla quale chiedo tutti i gossip – che l’ideale sarebbe per me se avessi un bel loft, dove potermi alzare dal divano, passare per la cucina, fare colazione e trovare dall’altra parte lo studio con un edicolante che mi porti lui la mazzetta, perché col cavolo che la vado a prendere io come ai tempi di Drapkind… Sarebbe perfetto, non avrei bisogno di altro, mi piace non essere osservato, ma giudicato solo per contenuti, parole, forma…” Aneddoti – “Ricordo pochissimo sesso: la radio era una banda di zitelle e single che non invitava certo al matrimonio…(in realtà altre testimonianze raccolte asseriscono il contrario, cioè di relazioni, magari non proprio regolari, favorite dall’etere, ma ormai il tutto è caduto in prescrizione; però io stesso anni fa, a proposito della redazione sportiva di un’altra emittente ebbi modo di pronunziare un teorema simile a quello di Mauro…, nda). Il ricordo più curioso? La diretta dei funerali di Pietro Barilla che io improvvisare anche per la Tv, visto che il collega incaricato non arrivò in tempo. Io non ero preparato: avrei solo dovuto alzare un cursore del mixer per riproporre l’audio della televisione e al massimo fare qualche annuncio, ma certo non la telecronaca. Eppure dovetti cimentarmi: non conoscevo nessuno, ma quando sul monitor apparve la Vanoni paradossalmente, poi, iniziai a riconoscere tutti… Per un disguido, insomma, mi trovai a fare una cosa mai fatta prima, imbarazzante come poche altre. Una volta, invece, si presentò una per fare la radiocronaca del circo: ed ora il leone spalanca le fauci… Ma che cavolo di programma era? Però si sperimentava…” L’archeologia radiofonica di Broadcastitalia.it – “In me c’è la curiosità inesausta di recuperare il passato, anche per sorridere, ma dall’altra c’è il terrore del recupero, pur amando quel periodo lì… Ho la tendenza a soffrire di nostalgia, per cui devo combatterla, se no diventa patologia, intesa come incapacità di vivere il presente, ed io preferisco avere progetti e non ricordi. Riscoprire tutti i difetti di allora, adesso che c’è una metodologia precisa, un po’ mi fa sorridere, ma poi divento un cane arrabbiato. La memoria è giusto che venga conservata, poi dipende dall’uso che se ne fa, ma se uno, come fai tu, metta da parte qualcosa prima che sparisca, fa bene…” Noi abbiamo ritrovato e riproposto un preziosissimo reperto: il giornale radio di Radio Parma del 25 giugno 1975, letto da Mauro Coruzzi con Franca Merli (“era bravissima”, Platinette dixit), con annessi annunci pubblicitari su uno dei quali Mauro incespicò, lasciando alla collega il compito di proseguirne la lettura. Non abbiamo tagliato quell’errore non solo per fedeltà alla ricostruzione storica che ci siamo prefissi, ma proprio come testimonianza che tutti, anche i migliori, possono sbagliare, specie all’inizio della carriera. Io, una volta, tagliai un cavo, che ritenevo superfluo, quando era niente di meno che quello che dall’eccitatore raggiungeva il finale di potenza, causando una interruzione dei programmi di Radio Parma ed un certo danno economico per l’intervento di riparazione: oggi, ripensandoci, non divento un cane arrabbiato, ma sorrido, tempo prima, invece, quando qualcuno mi ricordava quella macchia, ci soffrivo… Di Mauro mi piace ricordare quando nel 76, lo convinsi a leggere il telegiornale di Parma TV (mi ero messo in testa di fare le prime trasmissioni sperimentali, sfruttando attrezzature già acquistate, ma fin lì lasciate inutilizzate) nonostante lui, già un po’ sovrappeso, indossasse una appariscente t-shirt aziendale azzurrina con il logo sul petto (quello con il Duomo ed il Battistero stilizzati). Le sue bretelle, invece, stando a quanto proprio oggi mi ha raccontato Pia Russo, nostra collega dell’epoca, non erano ben viste dai benpensanti editori dell’emittente (non Menozzi, i successori…) che se lo fecero sfuggire preferendo mettere a libretto altri programmatori. Mauro Coruzzi, però aveva già spiccato il volo verso Milano, anche se sarebbe tornato spesso e volentieri al microfono di Radio Parma, specie nei giorni festivi. “Tutti abbiamo una data di scadenza scritta come lo jogurt, ed io non so quanto continuerò ancora, ma quando smetterò, anche se ha il senso di un film strappalacrime, vorrei tornare là dove ho cominciato, e magari avrò la mano non molto ferma, ma cercherò di tenere il microfono…” Sperando che nel frattempo quella radio sia tornata a chiamarsi Radio Parma… (Domenica 20 dicembre 2009) |
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